Recentemente sono stata coinvolta, mio malgrado, in una sterile polemica sulla formazione di una classe prima alla scuola primaria Satta, nei giorni in cui si cercava di raggiungere il quorum per il referendum sulla nazionalità agli stranieri in Italia almeno da 5 anni.
La questione più che la scuola riguardava la questione della nazionalità. Chi è veramente italiano, chi è nato in Italia e si è istruito sin dalla scuola dell’infanzia o chi è nato all’estero da genitori italiani? Chi è italiano: chi è bianco e ha cognome italiano ma non sa una parola di italiano o chi è coloured e cognome straniero e parla correntemente la lingua italiana?
Ecco l’italianità si può esprimere in diversi modi: purtroppo i paraocchi di tanti, fa sì che chi abbia tratti somatici diversi dall’italiano medio e un cognome non italiano sia etichettato subito per “straniero”, “extracomunitario”, “africano”, “cinese” ecc. ecc. Questo il generale Vannacci ha cercato di dire nel suo libro, suscitando l’ira di tanti ipocriti che in realtà la pensano allo stesso modo e allora quando vedono una classe costituita da bambini nati in Italia che hanno cognomi non italiani e di etnie diverse parlano stupidamente di “classe-ghetto!”.
Poi se questi giovani di prima e seconda generazione in età adolescenziale esplodono in forme di ribellione e violenza, perché più che integrarsi, non si sentono accettati dalla società in cui vivono da anni si parla di problema immigrati nelle città. L’insegnamento della Francia, della Germania, del Portogallo e dell’Inghilterra non sono serviti a niente, non si parla di vera integrazione con una politica abitativa di integrazione diffusa, ma si creano i quartieri “ghetto” e dentro i quartieri ghetto le “scuole ghetto”, le scuole dove pochi italiani, questi sì dalla mentalità aperta al diverso, iscrivono i loro piccoli e dove sono gli italiani (alunni, genitori, insegnanti, personale ATA, dirigente) ad integrarsi con orgoglio alle varie culture.
Questo accade da sempre al Satta, Manno, Spano: scuole che accolgono ogni diversità e che desiderano aprirsi, com’è giusto che sia, al territorio e non solo agli abitanti del quartiere. Una vera politica dell’integrazione dovrebbe applicare rigidamente la presenza del 20% degli studenti stranieri per classe e laddove non fosse possibile, invitare i veri alunni NAI (Nuovi arrivati in Italia) a iscriversi in altre scuole d’élite, dove gli italiani con cognome straniero (ops… stranieri di prima o di seconda generazione) si contano sulle dita di una mano. Perché il problema è questo e non le classi ghetto al Satta!