Di recente sono stata inaspettamente esclusa da un concorso interno per una cattedra A037 all'Accademia Navale Morosini di Venezia, rivolta a docenti di ruolo di filosofia e storia del Ministero della Pubblica Istruzione. A dispetto della legge sulla trasparenza, per conoscere le motivazioni dell'esclusione ho dovuto scomodare un legale e con un ritardo di più di due mesi, ovviamente non più utili per poter essere integrata, ho avuto conferma dei miei sospetti.
Nel primo atto inviatomi che sarebbe dovuto essere pubblico sin dal principio, cioè il decreto dirigenziale di nomina della commissione giudicatrice, notavo l'anomala assenza di un docente di filosofia della scuola secondaria di II grado tra i membri della commissione. Per qualche recondito motivo il MIUR e il Ministero della Difesa preferivano docenti di Greco e Storia dell'arte. Sarà forse perché i filosofi sono notoriamente "ribelli, indipendenti e critici"?
Ma la prova tangibile della volontà di escludermi dal bando la trovavo nell'incongruenza tra quanto annotato nel verbale della commissione e quanto scritto nel decreto della graduatoria finale. Nel primo, sulla base dell'art. 38 del DPR 445/2000 citato nel Bando del Morosini, si legge «assenza dei requisiti di cui al punto 4 (dichiarazione sostitutiva)» che, oltre a non avere niente a che fare con l'articolo citato, in italiano non significa proprio nulla, perché non sono necessari requisiti per presentare una dichiarazione sostitutiva o un CV; al massimo avrebbero dovuto scrivere «non ha ottemperato al punto 4». Ma questo poteva essere facilmente smentito, perché la dichiarazione sostitutiva era interna alla domanda stessa e quindi se avevano ricevuto la mia candidatura, tanto da escludermi, avevano per logica anche l'autocertificazione.
Qualcuno di più sveglio quando è stato stilato la graduatoria finale si è accorto della "scemenza scritta" e allora per nascondere il broglio ha generalizzato in «non risulta(no) in possesso dei requisiti del bando del concorso», ovvero non è docente di ruolo, non ha superato l'anno di prova, non è cittadina italiana, ha dei precedenti penali, in altre parole ha dichiarato il falso. Questo è veramente inquietante perché significherebbe, trattandosi di un concorso interno, che il Ministero della Pubblica Istruzione non ha la benché minima idea di chi siano i suoi dipendenti o ancor peggio, potrebbe mandare in cattedra e a far gli Esami di Stato dei delinquenti patentati.
Ora nel rovesciare in senso positivo che il mio datore di lavoro, cioè lo Stato, «non potevano non sapere che io fossi in regola coi requisiti del lavoro pubblico», perché in caso contrario mi avrebbe allontanato 8 anni fa quando invece sono stata assunta a tempo indeterminato, la prova che non sono io a mentire, è data dal Ministero della Difesa stesso che nel decreto finale per l'assegnazione di una cattedra di filosofia alla Scuola Militare Douhet di Firenze nel 2013 mi ammetteva al 5° posto!
In qualità di cittadina mi sono sentita in obbligo di rendere la cosa pubblica e di denunciare il fatto alle autorità competenti, pur nella consapevolezza dei tempi biblici della giustizia italiana, perché ho pensato a quei tanti miei ex alunni che ambivano alla carriera militare e spesso sono stati ingiustamente esclusi, addirittura senza alcuna motivazione.
Pertanto quando nel bando di un concorso vengono chieste cose non a norma di legge (consenso di trattamento di dati personali; doppioni di autodichiarazioni; esclusività dell'invio della domanda per AR cartacea 2° l'art. 38 D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000) oppure la graduatoria finale ha delle gravi inadempienze (non indicazione della motivazione dell'esclusione per singolo candidato; non indicazione dei termini e dei luoghi per far ricorso; non pubblicità della commissione giudicatrice nominata; assenza di docenti competenti per valutare) deve suonarvi un campanellino d'allarme e dovete agire, non solo egoisticamente per voi stessi, ma perché la MERITOCRAZIA diventi anche in Italia un valore aggiunto e non una vuota parola di circostanza.